• Le curve della luce •
Moschea Sidi Brahim, El Atteuf, dicembre 2022
Una piccola apertura scavata nel muro lascia filtrare la luce. Non una luce generica, diffusa, ma una lama sottile e precisa che modella le superfici, trasformandole in materia viva. È uno squarcio delicato che rischiara l’oscurità senza mai cancellarla del tutto, lasciando che il mistero continui a respirare nell’ombra.
La Moschea di Sidi Brahim è uno degli edifici religiosi più antichi e suggestivi della regione sahariana dell’Algeria. Intitolata a un venerato marabutto, Sidi Brahim, figura spirituale molto rispettata nell’Islam maghrebino, la moschea rappresenta un punto di riferimento sia religioso che culturale per la comunità locale.
Questa moschea, priva di linee rette, sorprende sin dal primo sguardo. Dà l’impressione che non esista una progettazione formale, almeno non nel senso a cui siamo abituati noi occidentali, dove tutto è simmetria, misura, rigore geometrico. Qui, invece, tutto è morbido, fluido, curvo. Le forme sembrano nate dalla mano più che dal compasso, dall’istinto più che dal calcolo. Se manca l’architettura nel senso accademico, è l’anima del luogo a farsi sentire: come se spiriti differenti avessero lasciato ognuno il proprio segno, la propria curva, la propria intuizione.
Fuori, due uomini si scambiano parole lente, appoggiati a un muro candido, nel silenzio assolato. La scena, incorniciata da un arco interno, sembra un frammento teatrale, un istante sospeso tra quotidianità e sacralità. Un’immagine rubata al tempo, che qui sembra scorrere in un altro ritmo, lontano dal mondo.
Le nicchie scavate nei muri raccontano, nella loro semplicità imperfetta, la storia di mani pazienti e sapienti. Non sono solo elementi funzionali: sono cavità che accolgono il tempo, la polvere e la memoria. Architettura nata dalla terra, più che dal disegno.