• Fotografare l’esperienza, non solo il luogo •
Islanda, estate 2019
La tentazione, in viaggio, è spesso quella di scattare una foto “pulita”, priva di turisti, come se il luogo potesse esistere in uno stato di natura incontaminato, sospeso nel tempo. Una visione idealizzata, quasi da cartolina.
Ma questo desiderio di purezza visiva rischia di diventare un'estremizzazione: ci si avvicina alla fotografia naturalistica professionale, quella che richiede tempo, pazienza, attrezzature e spesso l’esclusione volontaria dell’elemento umano.
La fotografia di viaggio, invece, racconta un’esperienza vissuta. E in quell’esperienza il turista — l’altro ma anche noi stessi — è parte integrante del paesaggio. Fotografarlo non è un errore, ma un atto narrativo. Come in questa immagine: il vapore avvolge tutto, le sagome diventano evanescenti, quasi spettrali. Il confine tra soggetto e sfondo si dissolve.
Il risultato è un’immagine dove l’elemento umano non disturba, ma anzi amplifica la magia del luogo. C’è movimento, atmosfera, trasparenza. È un frammento autentico di viaggio, non un’illusione patinata